mercoledì 20 giugno 2007

Arriva qualche idea nuova: ........discutiamone.......



La nostra storia culturale e morale, prima ancora che politica, ci legittima a proporci come antagonisti del qualunquismo, del disfattismo, dell’antipolitica, che portano inesorabilmente verso l’autoritarismo.- Se la falsa modernizzazione della politica ha finito col ridurre, nella lunga transizione della seconda repubblica, le garanzie del cittadino, bisogna evitare che l’ostilità diffusa verso il Palazzo finisca col trasformarsi nella ricerca di pericolose scorciatoie.- E’ sempre meglio la peggiore delle democrazie, rispetto al più illuminato governo autoritario.-
Poiché il sangue ed i nervi della democrazia sono le idee e i valori, bisognerebbe, rispetto al mediocre pragmatismo degli ultimi anni, riportare in campo questi ultimi.-
Nessun altro, come i liberali, può disporre di un patrimonio altrettanto grande e sempre attuale, peché in continuo confronto con la realtà mutevole della società.-
Abbiamo solo bisogno di ottenere che la nostra voce sia adeguatamente amplificata.-
Si parla spesso e molto, del degrado della società italiana, cercando di capire il perché della perdita di identità nel mondo culturale, come della caduta di competitività della nostra economia nel mercato globale.-
La società di massa, il nuovo benessere, il tramonto dell’utopia, il venir meno dei grandi maestri non hanno creato le condizioni per un progetto unitario.- Ha invece prevalso chi ha tentato di imporre la egemonia di un pensiero guida dirigista da Minculpop.- La cultura e ancor più l’arte hanno bisogno per fiorire della libertà.- La occupazione di tutte le istituzioni ad esse preposte da parte del mondo comunista, afflitto da un settarismo esasperato, ha finito col togliere l’ossigeno necessario allo sviluppo della fantasia ed alla selezione sulla base della qualità, mentre ha prevalso la fedele e acritica appartenenza.- Un ruolo non indifferente ha avuto in questo processo distruttivo l’irrompere di un cannibalismo mediatico onnivoro, insieme alla trasformazione della scuola e dell’Università, da luoghi deputati alla formazione culturale e civile, in meri esamifici e diplomifici.- Questi elementi hanno determinato una massifi-cazione ed un appiattimento che ha finito col mortificare e sterilizzare ciò che rimaneva di una pur importante tradizione.-
Così nella scuola italiana è scomparsa la capacità critica, che derivava dall’insegnamento dei vecchi austeri licei dell’inizio del secolo scorso e si è imposto uno stereotipo che, con una colpevole, mirata, azione da parte dei sindacati, ha finito col massificare il modello intellettuale e comportamentale dei nostri giovani,dediti alla ricerca del posto, sovente precario, anziché alla ambiziosa meta della competizione.-
L’obiettivo è divenuto l’indottrinamento a senso unico da parte di un corpo insegnante a volte sciatto e politicamente militante, reclutato, in prevalenza, anziché con rigide procedure concorsuali, attraverso forme di cooptazione.-
Nel campo degli studi superiori si è affermata una Università di massa, cresciuta secondo il modello sessantottino, incapace di assicurare la formazione selettiva necessaria, poiché al suo interno ha dilagato il nepotismo dei vari baroni locali, a scapito della qualità del corpo accademico e con la conseguente penalizzazione della ricerca scientifica.-
Se l’Italia ha dovuto cedere posizioni nel campo artistico e culturale non è tanto per la mancanza di un progetto culturale unitario, quanto per il successo di una accorta regia che aveva come obiettivo la disarticolazione e la perdita di identità della nostra tradizione.-
Un analogo fenomeno si è registrato anche in campo economico con la complicità di una classe imprenditoriale miope ed egoista.-
Durante l’allegra e lunga stagione dominata dalla convinzione della superiorità della economia mista pubblico-privato e della teoria Keinesiana del deficit-spending, al gusto del rischio ed alla cultura del mercato, si sono sostituti i concetti di protezione di nicchia e di salvaguardia degli occupati, anche a costo della antieconomicità, della penalizzazione dei giovani in cerca di prima occupazione, e, sovente, si è favorita la finanza rispetto all’industria.- Uno scellerato patto a tre fra sindacati, organizzazioni imprenditoriali e governo, chiamato pomposamente “concertazione”, da un lato, ha disastrato le finanze pubbliche, dall’altro, ha fatto perdere competitività internazionale alle nostre aziende, che con l’avvento della globalizzazione, non sono state in grado di reggere la concorrenza.-
Il capitalismo delle grandi famiglie tuttavia non ne ha risentito, perché gli utili delle attività industriali sono stati convertiti in utili finanziari.-
Con il prevalere della legislazione comunitaria, tuttavia è venuta meno la possibilità di elargire aiuti di Stato, rendendo palese la fragilità del sistema italiano.- Ne ha pagato il prezzo maggiore la componente più vivace del nostro apparato produttivo, costituita dalle piccole e medie imprese, mentre per il grande capitale c’è stato l’affare delle “privatizzazioni all’italiana”.-
L’operazione più vistosa è stata quella di Telecom , rispetto alla quale lo scandalo Enimont (definito la madre di tutte le tangenti) impallidisce e sembra una esercitazione da dilettanti.-
Poi è venuta la privatizzazione delle autostrade e quella delle grandi banche, il cui capitale era in mano all’IRI o al Tesoro.-
Attraverso una contorta, ma accorta, procedura si è fatto in modo che, con investimenti sostanzialmente modesti, grandi istituzioni finanziarie finissero nelle mani di partiti o aree politiche ben identificate,o di pochi imprenditori, sovente molto indebitati con le stesse banche, di cui acquisivano il controllo.- Strumento di tale complessa manovra sono state normalmente le Fondazioni, tranne le poche che sono riuscite a sfuggire allo occhiuto e stringente controllo di chi ha governato il perverso fenomeno.-
Anche la recente importante fusione Intesa-San Paolo vede come nucleo duro dell’azionariato alcune grandi fondazioni, che, uscite dal mondo del credito dalla finestra, ne rientrano dalla porta, divenendo arbitre degli equilibri della seconda banca italiana, una delle più importanti dell’Unione Europea.- Se tale operazione è riuscita, è perché ha avuto quale regista un grande esperto di partecipazioni statali come Romano Prodi.- L’altra grande concentrazione tra Unicredito e Capitalia è stata la risposta necessaria.- Anche essa, pur essendo stata realizzata in una logica di mercato, ha dovuto cercare le necessarie coperture politiche.-Tali concentrazioni si preparano a competere per il nuovo shopping bancario, ma soprattutto per muovere l’assalto, che si prevede all’arma bianca, a Mediobanca Generali ed RCS, approfittando dell’ assenza dalla partita del gruppo Fiat, concentrato nel mercato dell’industria automobilistica.-
Il risiko bancario resta fondamentale per le altre grandi partite aperte: da una parte la irizzazione, attraverso il “Fondo 2 i” che fa capo alla Cassa Depositi e Prestiti (ancora una volta alleata con le Fondazioni e con le banche) delle grandi reti (gas, acqua, energia, telefonia fissa) e dall’altra l’assegnazione ad alcuni sodali di Palazzo Chigi, di Finmeccanica, di Alitalia e del trasporto ferroviario passeggeri nell’area dell’alta velocità.-
La liberalizzazione dei servizi pubblici locali è per il momento accantonata per la resistenza dei Comuni, che non intendono rinunciare al grande potere clientelare ad essi legato.- Per tutti gli altri, cioè per il vasto mondo delle PMI, non rimane che la delocalizzazione delle proprie fabbriche in Cina, in India o nei paesi dell’Est europeo, oppure un destino che progressivamente le metterà fuori mercato, a causa di una pressione tributaria insostenibile e della minaccia costante di indagini fiscali così penetranti, da rischiare la paralisi delle aziende.- In Italia, ove tradizionalmente, a differenza dei paesi anglosassoni, la diffusione della stampa, quotidiana in particolare, era modesta, la informazione era riservata ad una limitata classe culturalmente più evoluta.-
L’irrompere della televisione ha portato l’informazione in tutte le case, e questo è stato positivo, ma senza l’approfondimento necessario per sviluppare lo spirito critico.- Anzi si è concentrata principalmente sulle vicende più scandalistiche alla spasmodica ricerca di scoops in grado di fare impennare l’audience.- Così la televisione ci ha abituati ad immagini truculente, alla spettacolarizzazione della cronaca, a processi di piazza, al trionfo del gossip, alla spregiudicata violazione del privato, a linguaggi coloriti e diretti.-
Tutti fattori in gran parte responsabili del proliferare, per spirito di emulazione, di molti comportamenti violenti, dei quali abbiamo notizia ogni giorno.- Il bombardamento televisivo ha determinato le mode ed omologato i comportamenti ed i gusti, soprattutto delle masse giovanili.-
I nuovi modelli sociali più diffusi vengono dai reality, dalle fictions, dalla debordante attenzione per il calcio e per il suo mondo di giocatori, allenatori ed esperti, dalla chimera di avere accesso alle nuove professioni di valletta, (o valletti) e di veline.- I grandi personaggi, capaci di orientare masse non indifferenti di persone, sono i presentatori e gli anchor men, che sovente raggiungono una popolarità pari a quella di cantanti e subrettes.- La TV ha creato un mondo catodico onnipotente, che ha acquistato uno smisurato potere nella società contemporanea, generando dei mostri.-
Tutto e tutti si sono dovuti piegare a questo dominio:dal mercato allo spettacolo, dallo sport alla politica.-
La realtà ormai ci appare quasi esclusivamente attraverso la mediazione della televisione, che spesso, come un vetro convesso, ce ne fornisce una interpretazione distorta.-
La informazione politica e la “formazione” delle relative opinioni è affidata ai talk shows, per cui si può senz’altro affermare che, soltanto quelle formazioni politiche e quei personaggi che appartengono alla ristretta cerchia di coloro che sono ammessi al salotto di Vespa, alla piazza di Floris, al teatro di Costanzo e all’arena di Mentana, esistono.- Tutto il resto semplicemente non c’è.- Non conta la forza delle idee, la consistenza e credibilità dei progetti, il background culturale, la qualità della classe dirigente.- Vale soltanto il numero delle presenze in TV, i minuti messi a disposizione, talvolta la capacità comunicativa verso la massa o la irruenza degli interventi.-
Chi ha capito prima e meglio, ha saputo sfruttare il fenomeno e ne ha avuto i maggiori vantaggi.- Gli altri sono stati costretti a rincorrere per adeguarsi.- La cosiddetta Seconda Repubblica, più che dai referendum o da tangentopoli, deriva dal fenomeno televisivo, che è decisamente il principale terreno sul quale si gioca la partita del potere in Italia.-
Con la complicità di sistemi elettorali che lo hanno favorito, la politica si è trasformata in corrida mediatica, in scontro di opposte tifoserie.- In realtà i dibattiti televisivi, più che a convincere, servono a motivare le proprie truppe, né più né meno come alle varie trasmissioni sul calcio.-
Chiunque sia fuori dal grande circo televisivo, non è altro che un profeta disarmato.- Può avere ragione e convincere soltanto se stesso o gli intimi del proprio ristretto club, o avere torto, ma non saperlo, perché nessuno è disposto a confrontarsi con lui.- Questo ha determinato la fine della politica al cui posto si è insediata quella che possiamo definire come la “postpolitica”,che di quella vera è solo l’ombra, la finzione mediatica.
Scriveva Alexis de Tocqueville che autorità e responsabilità sono due facce della stessa medaglia: non può esistere l’una senza l’altra. La società in cui viviamo è stata tutta protesa a rendere sempre più complesso e articolato ogni processo decisionale, fino a pervenire alla frantumazione della responsabilità.
È ovvio che tutto ciò ha prodotto un correlativo processo di caduta dell’autorità.
Questo fenomeno, che inizialmente ha riguardato la Pubblica Amministrazione, progressivamente ha dilagato anche nel campo economico ed in quello politico, finendo col delegittimare, agli occhi dei cittadini, una intera classe dirigente. La scomparsa delle grandi figure dei cosiddetti padri della Patria, da Croce a De Gasperi, da Einaudi a Bobbio, ha determinato l’oblio del concetto di autorevolezza, che era qualcosa di più della stessa autorità. Era infatti la sintesi tra la grande saggezza, la cultura, il senso dello Stato, ma, soprattutto, l’alta coscienza morale. Ha quindi ragione Pietro Citati quando afferma che nella società odierna non sono più rinvenibili autorità ed autorevolezza, ma emerge uno sterminato, indistinto potere.
Nel momento in cui la politica ha rinunciato al proprio primato, era evidente che la stessa, oltre ad inquinarsi, avrebbe perso, come ha perso, autorità. Venuta meno, purtroppo da tempo, l’austera categoria dei grandi burocrati, che si erano formati alla scuola di Quintino Sella e che si sentivano investiti della funzione, quasi sacrale, di essere i custodi del principio della sana amministrazione, emerge sempre più una nuova burocrazia tutt’affatto diversa. Quella che nel dire di no, nel rallentare, nel complicare ogni cosa, ha affermato un nuovo enorme potere, a volte, fonte di corruzione.
La macchina statale, pertanto, anziché semplificarsi, si è andata sempre più complicando, proprio per aumentare a dismisura tale potere, con la complicità, sovente inconsapevole, talvolta dolosa, in quanto correa, del mondo politico.
Ecco perché di fronte alla esasperazione dei cittadini vessati, anche modesti, impercettibili segnali in direzione delle liberalizzazioni, vengono accolti dal pubblico con attenzione, ancorché si tratti di iniziative che colpiscono esclusivamente le categorie più deboli, evitando di sfiorare i grandi interessi.
In un’epoca in cui l’autorità e l’autorevolezza non sono che un ricordo, è logico che si espanda sempre più un potere opaco, molle e strisciante, ma onnivoro, trasversale ed infinito, che è il migliore terreno di coltura per anestetizzate la democrazia e scivolare verso l’autoritarismo.-
In nome della governabilità e della maggiore efficienza dell’esecutivo, si è progressivamente marginalizzato il Parlamento, che è diventato nient’altro che un votificio, ove vige la regola della cieca obbedienza ai capi dei partiti e delle coalizioni, pena la non inclusione in liste, che vengono confezionate dalle gerarchie politiche dominanti.- Così, in pratica, potere esecutivo e potere legislativo si sovrappongono e, grazie ad un perverso intreccio tra politica, imprenditoria e finanza, cui fanno capo i media più importanti (televisione e stampa quotidiana e periodica) l’impianto costituzionale della separazione dei poteri è, di fatto, saltato.- Col potere giudiziario, a seconda dei gruppi al Governo, vi è una alternanza di connivenza o di scontro frontale; anche questo inammissibile e pernicioso per le istituzioni e per la vita democratica.-
La società moderna impone efficienza e trasparenza nei servizi pubblici.- Per una sorta di retaggio medievale invece in Italia, dai trasporti agli acquedotti, dai servizi al cittadino alla sanità, si sono creati apparati costosi e scarsamente produttivi, ove una burocrazia mediocre si guarda bene dall’essere al servizio del cittadino.- Si è così reso urgente un processo di sbrurocratizzazione e liberalizzazione, che riduca i costi per i consumatori, intervenendo soprattutto sotto il profilo della velocizzazione delle risposte.-
La lotta alle rendite parassitarie legate alla corruzione nell’esercizio del potere, non può essere affidata esclusivamente alla magistratura, ma impone una radicale trasformazione della macchina statale.-
Retaggi di cultura vetero comunista e pregiudizi clericali impediscono un approccio laico al problema della moralità pubblica, che non può dipendere da un fatto culturale o coscienziale, ma che deve essere una regola che discende dai valori civici di uno Stato e dalle sue leggi.- Se sapremo resistere alla tentazione di demonizzare l’avversario, come il diverso, attraverso la tolleranza ed il rispetto, potremo inaugurare una nuova stagione basata sul confronto e non sullo scontro, sulla affermazione delle proprie idee e non sulla sopraffazione.-
Fino a quando la eticità ed il senso civico non saranno considerati bene comune e patrimonio di civiltà dell’intera società, il nostro non potrà essere un Paese normale.-
L’Italia uscita dalla drammatica sconfitta nel conflitto mondiale, dalla guerra civile, dalla distruzione morale e materiale, per quasi mezzo secolo fu impegnata in una complessa opera di ricostruzione, di ripresa economica, di riorganizzazione dello Stato.- Non mancarono momenti terribili, come il decennio successivo alla cosiddetta rivoluzione giovanile del sessantotto.-La rivolta, sostenuta organizzativamente e politicamente da alcuni servizi dei regimi del blocco comunista basata su un generico ribellismo contro la società borghese, il profitto, il benessere, l’autorità, degenerò rapidamente in una forma di terrorismo brutale, che insanguinò il Paese.- Per una intera generazione di giovani, si aprirono le porte del carcere, (tranne pochi vigliacchi che scelsero la via della fuga) il fallimento nella vita lavorativa e di relazione, la scoperta della scorciatoia della droga.- Un prezzo altissimo, che, insieme alla caduta generalizzata dei valori della fase operosa del dopoguerra, comportò un inquinamento della politica, che ne uscì trasfigurata.-
Venuta meno la fase esaltante dello scontro ideologico, che aveva rappresentato la migliore espressione di un confronto culturale, con effetti anche pedagogici, vi fu un progressivo allontanamento dei giovani dai partiti e si aprì una stagione di apatia rassegnata, dalla quale la gioventù italiana non si è mai ripresa.- Senza più una spinta ideale, a destra, l’attività politica apparve come una possibilità di carriera.- A sinistra, dopo la caduta dell’utopia comunista, che pure aveva animato molte generazioni fino alla esasperazione della via rivoluzionaria, non rimase che il deserto ideologico e la delusione verso l’impegno politico.-
Eppure l’Italia, nonostante gli errori e la corruzione che determinarono la caduta del prestigio della sua classe dirigente, aveva raggiunto una posizione di primo piano tra le grandi potenze economiche del pianeta.-
Ma la impossibilità di una alternativa di potere ed, allo stesso tempo, un assemblarismo sempre più diffuso per consentire all’opposizione di partecipare alla gestione del potere, accelerò il crollo del sistema.- D’altronde, venuta meno la pregiudiziale che discendeva dagli accordi di Yalta, la classe dirigente comunista, avendo cambiato denominazione al partito, dopo l’89, premeva per arrivare al Governo.- Grazie a complicità internazionali, all’azione di alcune procure che tennero indenne il PCI dalle responsabilità che aveva al pari degli altri partiti e sull’onda emotiva delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio del ’92, fu tenuto sotto scacco il Parlamento per due anni e si consumò un vero e proprio colpo di Stato in sordina.-
La responsabilità di settori della magistratura, di Scalfaro, di alcuni media e di attenti burattinai rimangono consegnate alla storia, perché ancora è troppo presto per un esame sereno di quella non gloriosa stagione.-
In una Italia in piena crisi di identità culturale, economica e sociale, una potente azione mediatica, diretta sapientemente da Scalfari e Montanelli, decretò la fine della Prima Repubblica, senza avere chiaro il progetto su cui costruire la seconda.- Cosicché la lunga transizione, dopo quasi un quindicennio, non appare terminata.- Achille Occhetto, con una ingenuità pari all’arroganza, lanciò verso la sconfitta la sua gioiosa macchina da guerra, mentre l’abile Berlusconi, che meglio aveva capito il ruolo dei media e la logica del nuovo sistema elettorale, si pose come interprete dei sentimenti e dei risentimenti dei moderati, rimasti orfani dei loro partiti e fece irruzione nella politica, sbaragliando il campo.- Col suo avvento, trionfò l’antipolitica, fatta di richiami calcistici, di conventcions, di gadgets e populistici bagni di folla plaudente, senza partecipazione effettiva ai processi decisionali.-
Chi voleva la fine della Politica, era riuscito nel proprio intento.- La cooptazione dei parlamentari, anziché la loro elezione, ha ridotto il Parlamento ad una mera funzione notarile di ciò che decidono i vertici delle coalizioni o dei partiti.- Gli stessi soggetti politici minori, satelliti delle grandi formazioni, vivono della loro capacità di ricatto, poiché possono, anche con una piccola percentuale, fare la differenza.- I partiti, al loro interno, sono divenuti strutture burocratiche, che hanno abolito ogni forma di democrazia interna.-
Esaurita la fase del reclutamento per motivazioni ideali e culturali, il ceto politico è popolato, da servitori, maggiordomi, questuanti, sodali, subrettes.- La stagione dei nani e delle ballerine, inaugurata da Craxi, è ormai la regola.- In periferia, e principalmente nel Sud, si accostano alla politica in prevalenza giovani disoccupati, che, avendo una vasta parentela, vedono nella elezione a consigliere di circoscrizione, del Comune, della Provincia, delle comunità montane, la possibilità di ottenere uno stipendio, che altrimenti non riuscirebbero a guadagnarsi.- Così il costo della politica, tra aumento degli emolumenti ai suoi addetti e finanziamento ai partiti, è cresciuto a dismisura, alla faccia di un referendum popolare che si era pronunciato negativamente.-
Paradossalmente, la seconda Repubblica, sorta dal bisogno di moralizzare la vita pubblica, si è trasformata in una macchina per l’occupazione e l’uso spregiudicato del potere.- Palazzo Chigi, ormai è opinione diffusa, si è trasformato in un Merchad Bank.-
Morta la politica, ne ha usurpato il ruolo la “post-politica”, affidata ai media, caratterizzata dalla scomparsa di ogni elaborazione, ma dove tutto è propaganda: si investe in pubblicità, basata su slogan ripetitivi e insulti agli avversari, per raccogliere potere.- Il Palazzo è ricattato dalle corporazioni, e dalle mobilitazioni di strada.-
In un simile quadro di perdita di ogni riferimento culturale, di precarietà economica, di disgregazione civile e di trasfigurazione della politica, non ha torto chi ritiene la nostra stessa libertà in pericolo, anche per il riemergere di un filone terroristico che potrebbe collegarsi con una piazza turbolenta e minacciosa.- Il nostro futuro, e ancor più quello delle prossime generazioni, appare incerto.-
La forza del Governo Prodi è la sua debolezza, che consiste nel ricatto: o me o si ritorna a Berlusconi! – In questo contesto non importa che abbia deluso sia i moderati per non avere fatto le riforme promesse che la sinistra antagonista perché ha potuto accoglierne le richieste solo in minima parte.
Un Governo che ha scontentato il nord e la parte produttiva del Paese perché, anziché sfruttare la congiuntura economica favorevole con un alleggerimento della pressione fiscale, l’ha invece ulteriormente appesantita, ma non è riuscito neppure a soddisfsre i ceti meridionali più deboli in mancanza delle risorse per nuovi provvedimenti assistenzialistici.- Anzi, con il blocco degli investimenti pubblici, rischia di trovarsi di fronte a nuova disoccupazione e nuove sacche di povertà.-
L’insoddisfazione verso il centro-sinistra uguale e contraria a quella registrata negli anni scorsi verso il centro-destra, riporta il pendolo verso quest’ultimo, che quindi preme per le elezioni anticipate, senza avere potuto compiere una approfondita analisi delle ragioni della sconfitta dello scorso anno.-
Nelle regioni del Nord ha ripreso fiato la Lega che, più e meglio di altri, sa parlare alla pancia di quei territori.- Assistiamo così ad episodi deplorevoli, quale l’occupazione dei banchi del Governo a Montecitorio o l’aperta istigazione alla rivolta fiscale.
Le componenti moderate sono uscite sconfitte dalle elezioni amministrative.-
Il Partito Democratico, prima ancora di essere tenuto a battesimo, ha subito una sconfitta dalla quale difficilmente potrà riprendersi.-
Il rischio è che, ove la situazione dovesse precipitare, un centro destra che non ha definito una piattaforma programmatica comune, tornerebbe al Governo con tutte le contraddizioni irrisolte del quinquennio precedente e con una componente qualunquista ed antipolitica più forti, quindi con la certezza che, in tempi brevi, gli umori degli italiani si orienterebbero nuovamente in senso contrario.- Invece il Paese, per riagganciare le altre grandi economie mondiali, dopo un lungo periodo di opacità, avrebbe bisogno di una “rivoluzione liberale”.-
L’insorgere di una vera “questione settentrionale”, che si sostanzia nella richiesta del “federalismo fiscale”, non può essere bilanciata, nel Mezzogiorno, che con politiche di sviluppo in grado di creare nuova occupazione.- Superando le vecchie logiche stataliste e clientelari, presenti in ampi settori della sinistra, come della destra, un meridione affrancato dal problema della disoccupazione, cambierebbe orientamento politico, come il Nord.-
L’unificazione economica e politica del Paese può avvenire soltanto attraverso politiche di riduzione del carico fiscale, parallele alla riduzione della spesa pubblica.-
Oscar Giannino nel suo recente saggio: “Contro le tasse – Perchè abbattere le imposte si può”, si scaglia contro la “tassazione vorace” che divora le risorse economiche del popolo e delle imprese.- La maggior parte delle nazioni dell’area OCSE hanno diminuito notevolmente la pressione fiscale, producendo ricchezza e sviluppo.- In Italia il prelievo fiscale è il più alto d’Europa, tenendo conto che non solo è salito fino al 44% del PIL, ma, poiché il PIL calcola anche l’evasione fiscale, che ammonterebbe a 270 miliardi di Euro ( cioè circa il 10% del PIL), la pressione reale, per chi paga le tasse, risulta del 54/%.- Poiché questo carico fiscale enorme serve a finanziare una spesa pubblica che si aggira sul 48% del PIL, costituita in gran parte da sprechi e che produce servizi di bassa qualità e altissimo costo, bisognerebbe ridurla per riprendere il sentiero della crescita, attenuare il divario con le economie trainanti del mondo e quelle emergenti d’Europa, garantire maggior dinamismo sociale e assicurare maggiore libertà agli individui.-
D’altronde è ormai dimostrato che il processo virtuoso assicurato dalla riduzione della pressione fiscale, produce maggiore reddito, come è avvenuto nei paesi OCSE, ove, a fronte di una riduzione media di 10 punti percentuali, sia delle aliquote sul reddito d’impresa che di quelle delle persone fisiche, il gettito è salito dal 32% al 41% del PIL,
ciò grazie non solo alla maggiore crescita, ma alla emersione dell’imponibile nascosto, come è avvenuto per esempio in Irlanda.-
Ribadiamo quindi la nostra antica e sempre valida proposta di porre un limite costituzionale alle aliquote più elevate e di trasferire gran parte della imposizione dalle dirette alle indirette, consentendo ai cittadini di detrarre dal carico fiscale una quota significativa dei loro consumi, come stimolo alla propensione per una maggiore circolazione della ricchezza, ma, soprattutto, come unico vero strumento efficace contro l’evasione fiscale.-
Nel campo societario dovranno essere soppressi i privilegi delle cooperative rispetto alle altre forme societarie.-
Una manovra importante sul versante della riduzione della pressione fiscale, tuttavia, non è pensabile, nel breve periodo, senza una sostanziale politica di drastici tagli alla spesa pubblica.-
Molte ed ampie sono le aree nelle quali lo Stato deve ritirarsi, per cedere funzioni e servizi ai privati, che potrebbero effettuarli meglio e con costi molto inferiori, cominciando dai servizi pubblici locali, ma proseguendo col catasto, con le conservatorie dei registri immobiliari, le carceri, la manutenzione degli edifici pubblici, la radio-telediffusione, il trasporto aereo, le reti: idrica, elettrica, ferroviaria e di distribuzione del gas.- Una imponente privatizzazione e liberalizzazione per ridurre col ricavato il debito pubblico ed i trasferimenti ai comuni, che vedrebbero ridotti i propri oneri.- Bisognerebbe in tempi rapidi abolire le province e limitare ai capoluoghi di regione le prefetture.-
Si parla tanto, forse troppo, di riduzione dei costi della politica, soffermandosi sulle indennità parlamentari.- Si può pretendere che i deputati assicurino, come dovrebbe essere, il tempo pieno, se le relative indennità dovessero essere inferiori a quelle di un comune dirigente?
Bisognerebbe invece ridurre alla metà il numero dei deputati e dei senatori.- E’ scanda-loso inoltre il costo delle autonomie locali, ove andrebbe drasticamente alleggerita la composizione dei consiglieri e delle giunte, le cui indennità sono lievitate in modo inaccettabile.- I Consiglieri di circoscrizione o comunali fino ad una certa soglia non dovrebbero ricevere alcuna remunerazione.-
C’è stato un referendum in cui gli italiani si sono pronunciati contro il finanziamento pubblico dei partiti.- Nella cosiddetta seconda repubblica tale finanziamento ha invece raggiunto livelli precedentemente impensabili e che superano ogni limite di decenza.-
Sicurezza, giustizia ed istruzione, che sono i compiti fondamentali dello Stato, vanno radicalmente riformati.-
Separazione netta delle carriere tra PM e giudice, immediata comunicazione di garanzia all’indagato, riduzione drastica delle intercettazioni, riforma del CSM, eliminazione della distinzione tra giustizia ordinaria ed amministrativa, affidamento alle parti della gestione della istruttoria nei processi civili, devono essere il cardine delle riforme giudiziarie.-
Per quanto attiene alla istruzione pubblica va abbandonata la attuale logica di limitarne la funzione a quella avvilente di diplomifici.- Le nostre Università devono divenire “accademie del sapere” in grado di formare giovani di qualità, che saranno contesi sul mercato del lavoro.- Quindi insistiamo per l’abolizione del valore legale dei titoli di studio, compiendo ogni sforzo per l’alta formazione di qualità, anche in raccordo col mondo della produzione.-
Lo Stato deve, con rigore e professionalità, assicurare livelli di sicurezza eguali in tutto il territorio nazionale, esercitando una attività di prevenzione e repressione adeguata, necessaria sia nei confronti di una immigrazione clandestina sempre in crescita, che rispetto alla criminalità organizzata.- Non è accettabile che in Campania, come in Calabria, perché amministrate dalla sinistra, debbano liberamente prosperare la camorra e la ndrangheta, laddove, in passato, quando si registrarono emergenze analoghe in Sicilia, fu mandato l’esercito con risultati significativi.- Non si può dire che un fenomeno secolare come la mafia, sia stato debellato, ma, certo, lo Stato è riuscito ad imporre la legalità e ad affermare la sua supremazia rispetto all’antistato.-
Lo Stato deve invece rilanciare gli investimenti in infrastrutture (cominciando dalla TAV e dal Ponte sullo stretto di Messina) e coniugare lo sviluppo con l’ambiente.-
Il “verde politico” è il maggior nemico del “verde naturale”.- L’ambiente, insieme al turismo e alla cultura sono le più grandi occasioni di sviluppo per il Mezzogiorno.-
In una società che si ponga come primario obiettivo la tutela del cittadino come individuo, devono esservi norme in grado di tutelare la privacy di ciascuno.-
Quello italiano è il popolo più intercettato del mondo, con costi enormi e la mortificazione del privato di ognuno di noi (mentre stiamo parlando, almeno un milione di italiani è intercettato).- Siamo quotidianamente infastiditi da telefonate, sms, e-mail commerciali, non graditi e nessuno si preoccupa di sanzionare questi comportamenti.-
Mentre su altri versanti, la nostra è una società piena di divieti.- Bisognerà inserire nella Costituzione, a garanzia della nostra libertà, che tutto ciò che non è vietato, deve considerarsi lecito.- Troppa discrezionalità della P.A ., troppa invadenza, hanno finito col mettere in pericolo la libertà del singolo.-
Per questo abbiamo scelto come motto del congresso:”difendi la tua liberta”.- Non potremo archiviare realmente il nostro passato statalista, se non sapremo garantire la supremazia del merito, della qualità, del privato, rispetto al pauperismo ed all’egualitarismo, il rischio, rispetto alla protezione, il coraggio e la fantasia, rispetto alla logica del precariato clientelare.- Non c’è libertà senza competizione!
C’è bisogno di un soffio di libertà, la libertà di competere, di rischiare, di scommettere sul proprio talento, libertà del frutto del proprio lavoro, in una società che garantisca sicurezza e certezza del diritto.- Libertà di perseguire il proprio sogno di felicità, in una società che consenta di correre liberamente diseguali.-
Non basta per realizzare questo obiettivo liberarsi del Governo Prodi.- Ci vogliono idee nuove, che l’attuale centro destra, negli anni in cui ha governato, ha mostrato di non avere.- Bisogna pensare ad una grande alleanza tra i ceti più attivi della società italiana e quelli più deboli, promuovendo il localismo e lo spirito di iniziativa diffuso, ma, innanzi tutto, ridimensionando, o del tutto eliminando, i privilegi corporativi esistenti e le rendite parassitarie riservate a sindacati e cooperative, come a finanzieri più o meno improvvisati, ma molto legati a settori politici, a fondazioni bancarie, a consorterie trasversali che, da troppo tempo, detengono una ipoteca di potere sulle nostre più importanti istituzioni.-
E’ ovvio che al primo posto deve esserci la riforma della politica .- Tale riforma passa attraverso la attuazione di alcuni precetti fondamentali, come l’art. 49 della Costituzione.- Non è accettabile che i partiti, organi di grande rilievo costituzionale, siano privi di regolamentazione.- La questione assume maggiore urgenza dopo che la recente riforma elettorale ha abolito il voto di preferenza .- Urge quindi uno “statuto giuridico” che garantisca la democraticità di tali soggetti e delle loro norme di funzionamento interno, per evitare che non solo la formazione del Governo, ma la stessa rappresentanza parlamentare, siano lasciati all’arbitrio di pochi, espropriando di fatto, al popolo la sua sovranità.-
Allo stesso modo dovrà provvedersi, senza indugio, all’attuazione degli artt 39 e 40 sui sindacati, rendendone trasparenti i bilanci e sottraendo ad essi ed ai loro patronati gli attuali anacronistici sussidi e privilegi.-
Siamo inoltre convinti che le necessarie riforme istituzionali vadano affidate ad una assemblea costituente, le cui conclusioni dovranno, anche per capitoli separati, essere sottoposte al voto di un referendum confermativo popolare.- Tale assemblea dovrà, una volta per tutte, compiere una definitiva scelta in materia di sistema elettorale, che andrà costituzionalizzato.- Siamo aperti ad ogni ipotesi di modernizzazione e semplificazione della macchina statale, prevedendo una modifica delle funzioni e delle competenze dei due rami del Parlamento, purchè si tratti di riforme coerenti e compatibili.-
Altrettanto valga per l’esecutivo.- Non escludiamo l’ipotesi di scelta diretta del premier, ma con un bilanciamento che preveda la non contestuale elezione del Parlamento ed una netta separazione tra potere legislativo ed esecutivo.-
Quello che va superato al più presto è il deleterio bipolarismo all’italiana che, produce coalizioni non in grado di governare.-
L’Italia dovrà riprendere il ruolo che le compete nel percorso, inceppatosi da troppo tempo, della costruzione europea, ripartendo dalla visione lungimirante di Ernesto Rossi e Altiero Spinelli.-
L’Europa politica che noi sogniamo, non è quella dei burocrati di Bruxelles, né quella dei ragionieri di Francoforte e neanche quella, sbrodolosa e all’insegna della mediazione infinita, della cosiddetta Costituzione solennemente approvata dai capi di Stato e di Governo e poi bocciata da francesi e olandesi.- Ci vuole una vera Costituzione di pochi articoli, che trasferisca realmente alcuni poteri (difesa, politica estera, alcuni aspetti della politica economica, della sicurezza e della giustizia) ad una realtà sopranazionale , con un proprio Governo ed un proprio Presidente.- Il Parlamento deve avere i poteri di una vera assemblea parlamentare, trasformando il Consiglio in una sorta di secondo ramo.-
Nell’anno in cui è stato celebrato il cinquantenario dei trattati di Roma, non possiamo che ricordare, con orgoglio, che il grande disegno dell’Unione Europea fu concepito in Italia e che l’artefice fu il ministro liberale Gaetano Martino, che, insieme ad altri liberali come Spaak ed uomini di cultura cattolico liberale, come De Gasperi, Chuman e Adenauer, pose le basi a Messina, e, dopo, con il trattato di Roma, dette vita alla costruzione europea.-
Nel 2009 avremo una grande opportunità.- Insieme agli amici repubblicani ed alle altre forze che vorranno unirsi al progetto, potremo scendere in campo con una lista della federazione liberaldemocratica, cui abbiamo dato vita ed alla quale (insieme agli amici del PRI Nucara, LA Malfa e del Pennino) stiamo lavorando.- Una esperienza nuova.-
Non più la semplice somma di PLI e PRI, che abbiamo sperimentato altre volte senza fortuna.- Ma un soggetto politico federato autonomo, collegato col Partito Liberale Democratico e Riformatore Europeo, che possa farsi promotore e sostenitore di un nuovo grande progetto deferalista europeo e che, in Italia, dia vita a quel soggetto liberaldemocratico, da molti invocato e di cui, nella crisi attuale delle istituzioni, si sente la mancanza.-
Se è vero che l’Italia ha bisogno di una rivoluzione liberale, è certo che essa non potrà avere luogo senza un soggetto, riconoscibile e politicamente forte dei liberali organizzati.-
Questo al di la della nostra transitoria vicenda di partito politico, è ciò a cui stiamo lavorando.- Ci rifacciamo ai principi ed ai valori della dichiarazione di Oxford, allegata al nostro statuto, che impone una nuova eticità della politica, una laicità ugualmente antilaicista come anticlericale.- Non ci piacciono le invettive delle gerarchie ecclesiastiche sulle scelte che riguardano il costume, le abitudini sessuali, la program-mazione familiare e la formazione responsabile dei cittadini, ma non ci piace altresì la speculazione, violenta, estremista, eccessivamente ostentata e faziosa delle manifestazioni di Piazza Navona e del Gayprade.- Laicità come la intendiamo noi, è tolleranza e moderazione, e intransigente rispetto della libertà individuale.-
Meno lo Stato interferisce in queste materie, meglio è.- Delicato e importante è il ruolo dei partiti, che devono preparare (come hanno fatto per circa cinquant’anni) ad una “cit-tadinanza responsabile”.- Infatti la “vera legittimazione” è garantita da una “società partecipativa”.- La Democrazia liberale non è una sorta di delega in bianco consegnata per un quinquennio alla coalizione vigente, ma un complesso rapporto partecipativo, di cui il voto è uno, magari il più importante, dei momenti, numerosi e diversi, in cui il cittadino deve esercitare il suo controllo sulla classe politica.-
Un cittadino protagonista che, nella società del fare, esercita fino in fondo le sue prerogative, rivendica i propri diritti e li riconosce a sua volta.-
Un cittadino senza tutori, padrini, padroni, protettori, che ha affidato a se stesso il compito di affermarsi e crescere, con eguali punti di partenza, ma diseguale nella corsa della vita, all’insegna della libertà.- Una libertà assoluta, che può dare un senso di vertigine, ma che per questo da un senso alla vita.- La Democrazia liberale impone una nuova e insieme antica eticità, quella che oggi sembra scomparsa.- Non il falso moralismo imposto dalla autorità religiosa, cattolica o islamica, integralista o fondamentalista, o quella dei retrobottega moralisti postcomunisti, ma la moralità dell’individuo che rende conto solo a se stesso, alla sua coscienza.-
Una società così fatta impone una grande riforma culturale e di costume.- Perché non pensare, come nella democratica società americana, ad introdurre un sistema sanzionatorio per chi mente, riconoscendo il valore, anche civile, di colui che ha il coraggio della verità, anche la più scomoda, la più cruda, la più umiliante?.- Si tratta di trasformare l’idea che abbiamo dell’eroe, che non deve essere sempre un vincente, portato in trionfo sugli scudi, ma anche un uomo piccolo, che compie umilmente, ogni giorno, una grande, perché coraggiosa, azione di verità.-
Quella liberale è prima una visione della vita e dell’organizzazione sociale, che un progetto di governo del Paese.- Un’idea innanzitutto di responsabilità verso la Nazione.-
Questo si aspettano i giovani, oggi lontani da una politica tutta dedita ad affari e potere e così poco attenta al bisogno di utopia, che pure c’è nella fantasia di ogni giovane coscienza.- Ogni singolo nuovo cittadino, che si avvia a vivere l’avventura della vita, da protagonista la il diritto-dovere di partecipare alla vita politica del Paese e di assumersi la responsabilità di scelte consapevoli.- Queste, quando riusciamo a parlare al cuore sono affascinanti e coinvolgenti.-
Il nostro partito, che è il più antico della storia del nostro Paese, è anche il più diverso.- Lo abbiamo sciolto quando pensavamo che si fossero create le condizioni per realizzare un partito liberale di massa, in grado di superare il confine, cui per troppo tempo eravamo stati condannati, di essere minoranza, autorevole, rispettata, ma minoranza.-
Lo abbiamo ricostituito quando ci siamo accorti che tra i tanti partiti della seconda repubblica, che si dicevano liberali, nessuno lo era veramente.- Abbiamo svolto in questi anni una funzione di testimonianza, spesso sottovalutata, ma che è stato un importante presidio per un patrimonio politico, storico e morale inestimabile, e non ce siamo pentiti.- Anche la delusione di aver dovuto prendere atto che chi ci aveva blandito, noi e le nostre idee, per averci nella propria coalizione, non ha poi mantenuto i patti solennemente confermati dinanzi all’intero Consiglio Nazionale, non ci ha fatto fare un solo passo indietro.-
Abbiamo dato i nostri voti, pochi, nelle circoscrizioni in cui siamo riusciti a presentare le liste senza l’aiuto di nessuno, alla coalizione con cui avevamo stretto l’alleanza.- Se ci fosse stato accordato l’aiuto promesso per la raccolta delle firme nelle altre circoscrizioni, il risultato elettorale sarebbe stato ribaltato a favore del centro-destra.- Certo, non possiamo negare che da quel grave tradimento della parola data il partito ha risentito e non si è ancora del tutto ripreso.-
Ciò non toglie che abbiamo l’obbligo, morale prima ancora che politico, di fare la nostra parte.- Per questo intendiamo proporci, dopo questo congresso, come partito – non partito. – Cioè innanzi tutto luogo dove si coltivano le idee liberali e si lavora per riunire tutti coloro che in queste idee si riconoscono, anche se contingentemente militano in altre formazioni.- Il nostro obiettivo è di guardare lontano, operando su questioni concrete.-
Nei prossimi mesi daremo vita ad una serie di iniziative tematiche, rivolte a tutti coloro che le dovessero condividere.- Proponiamo per la politica anche nuove formule e vogliamo sperimentarle.-
Naturalmente questo non significa in alcun modo una rinuncia al nostro essere un piccolo partito organizzato, che intende partecipare a tutti gli appuntamenti elettorali che si presenteranno.- Voglio dare un saluto particolare agli eletti nel recente turno amministrativo e a tutti coloro che si sono impegnati , anche con esito sfortunato.-
Desidero dare il benvenuto alla Dott.ssa Antonietta Brancati, consigliere regionale del Lazio, che si è iscritta al partito ed ha costituito, in analogia con la Camera dei deputati, (ove ciò è avvenuto alcuni mesi fa) il gruppo Repubblicano Liberale e Riformatore.-
La costituzione di questi gruppi comuni è il primo, concreto segno, di collaborazione con il PRI e con il mondo dei riformatori, dal quale abbiamo avuto significative adesioni.- Rilevo con piacere che al partito si sono iscritti, oltre ai soliti fedelissimi, cui sono grato, altri che non hanno mai avuto esperienze politiche o delusi dai partiti pret a porter della seconda Repubblica e, tra essi, molti giovani.-
Questi ultimi, nel corso dei nostri lavori daranno vita agli organi direttivi della GLI e saranno sicuramente la parte più viva di un partito che non può, e non vuole, vivere solo di passato, ma che si sente vocato a scommettere, nonostante il pessimismo che emerge dall’analisi che vi ho fatto, su un futuro più liberale per questo nostro Paese.-
Ringrazio il gruppo dirigente centrale, che, anche nei momenti più difficili, è rimasto sempre solidale e compatto.-
Ringrazio in modo, se possibile, ancora più riconoscente tutti coloro che, in periferia hanno fatto prevalere l’orgoglio di essere i rappresentanti del liberalismo autentico, non cedendo alle lusinghe di partiti sedicenti liberali, che hanno cercato di attirarli nella loro orbita, offrendo incarichi, ruoli e carriere politiche, che essi hanno sempre rifiutato.-
So bene cosa significa in un luogo, magari lontano, essere l’unico liberale, a volte rispettato per la coerenza, ma spesso guardato con l’arrogante sufficienza di chi coltiva la politica dell’avere, anziché quella dell’essere.-
Questa fedeltà e abnegazione ci consente di affermare che, anche se siamo un piccolissimo movimento, siamo presenti in tutte, o quasi, le province italiane.-
Concludo questo mio mandato di segretario, convinto di essere stato spesso inadeguato, e vi ringrazio per la tolleranza.- Posso solo affermare che mi sento, in coscienza, convinto di avere fatto quanto umanamente potevo in un contesto difficilissimo, sorretto dall’orgoglio di essere consapevole del grande privilegio di rappresentare la grande tradizione del liberalismo italiano.-
La perdita di ogni solido riferimento culturale, la precarietà economica, la disgregazione civile, la trasfigurazione della politica, hanno reso il cammino impervio e le previsioni per il futuro immediato, realisticamente, non possono essere rosse.-
Se in noi, nonostante tutto, non prevale il pessimismo, è perché la lezione crociana ci ha insegnato che, anche nelle condizioni peggiori, la libertà risorge sempre, come ha dimostrato la storia.- Spetta a chi crede in questa intrinseca forza della società, il compito di lavorare perché avvenga la riscossa, che innanzi tutto deve essere morale, culturale e civile.- Se il Paese saprà compiere il necessario scatto di orgoglio, la politica saprà scoperchiare la tomba nella quale è stata sepolta, riprendendo il suo primato, sul terreno della credibilità, degli ideali e dei valori.- In questo futuro, non sappiamo quanto prossimo, ma che certamente verrà, e che possiamo accelerare facendo ognuno la nostra piccola parte, vi sarà anche, senza dubbio, uno spazio per le idee liberali, anche se oggi, appaiono soccombenti.-

(manifesto dell'onorevole Stefano De Luca del PLI per il Congresso Nazionale, che si terrà a Roma nei giorni del 22-23-24 Giugno, presso l’Hotel Universo di Via Principe Amedeo 5/b. )